TRUMAN

Tempo di lettura: 4 minuti

TRUMAN

un racconto di Paolo Rocchigiani

 

Sull’autobus si stava stretti come le caramelle in un dosatore che non fa rumore quando viene agitato.

Nello spazio ovattato del trasporto pubblico troppi scossoni, e la solita bambina ben addestrata nel cercare di sfilare i portafogli, rendevano il giornaliero viaggio mattutino per recarsi a lavoro come al solito molto movimentato. Virtualmente al sicuro dalla giovane autonoma lavoratrice, visto che da tempo non portava più addosso alcunché di valore, Truman doveva solo preoccuparsi di rimanere in piedi:  assecondava i bruschi movimenti dettati dalle sospensioni malandate del 4/S spostando abilmente il peso sulle ginocchia mentre si teneva saldamente con una mano alla sbarra di sostegno. Così si ancorava alla realtà, alla solida e solita realtà e lo sguardo proiettato verso un altrove lontano accompagnava il suo solito accenno di sorriso.

Tutti i compagni passeggeri viaggiavano con le cuffiette connesse all’inseparabile smartphone e lo sguardo basso, seguendo l’imperante e nuovo comandamento non scritto del “pensa solo ai fatti tuoi”. Di tanto in tanto qualcuno, per i motivi più disparati, cercava di alzarlo, ma era uno sguardo vuoto e ben attento ad eludere l’imbarazzante incrocio con quello di quanti si erano avventurati nella faticosissima operazione di alzare la testa.

A Truman invece piaceva guardarsi intorno con la schiena quanto più dritta possibile  osservando tutto e tutti pur rimanendo praticamente invisibile. Dalle piccole porzioni di finestrino lasciate libere dalla calca si alternavano, passando veloci come i fotogrammi di spezzoni di film triti e ritriti, i grandi cartelloni della pubblicità, le auto con la pubblicità, i camion con i rimorchi griffati dalla pubblicità, le fiancate di altri autobus con altra pubblicità e le persone intente a recitare anteprime dal vivo di momenti di quotidianità adattate agli stili di vita proposti dai social, dai film, dalla TV, dalla rete e da quello che rimaneva della carta patinata.

Ecco la sua fermata. L’onda unisona della folla di passeggeri lo trascinò giù,  pronto per una passeggiata di una decina di minuti che lo avrebbe portato a destinazione. Le porte dell’autobus stentarono a richiudersi per contenere i nuovi passeggeri protagonisti dell’ondata contraria alla precedente, poi una nube segnalò la ripartenza del mezzo mentre le macchine intorno sfrecciavano dando all’aria quel colore grigio e quel sapore così malsano. I negozi della strada in cui era situata la fermata, nel tempo,  erano cambiati a ritmo sempre crescente ed ora alcuni avevano definitivamente abbassato la saracinesca in attesa che un altro sognatore, o manipolatore, riattivasse di nuovo un giro di affari.

In lontananza si potevano scorgere i cancelli della fabbrica: nel grigiore di quella parte del quartiere alti e neri incutevano un certo timore. Era arrivato, in perfetto orario. Poca fila al timbratore: alcuni reparti erano stati soppressi a causa dell’ormai ciclica e sempre più devastante crisi economica, ma la produzione continuava, pompando iniezioni di ossigeno che permettevano al “paziente” di tenersi a galla nel mare della concorrenza globalizzata. Il solito cenno di saluto con l’addetto alla sicurezza, poi diretto verso lo spogliatoio. Con la solita inesorabile flemma Truman si cambiò mentre tra i compagni di turno si parlava di tutto, beh non proprio di tutto, sicuramente di calcio e di politica, o meglio fantacalcio e fantapolitica. Nessuno però parlava più di religione o se lo si faceva era esclusivamente con chi si era molto in confidenza: non era una buona idea offendere anche involontariamente le eventuali minoranze. Il solito veloce incontro con i colleghi  del cambio turno per le consegne e poi via a fare il giro della manutenzione.

Il rumore assordante dei macchinari datati lo accompagnava nei meandri dei vari reparti. Il motore della 8 dava i soliti problemi e solo Truman aveva il tocco magico per farlo ripartire senza troppe complicazioni. Col solito sorriso annotava le riparazioni che faceva e  i pezzi di ricambio da ordinare sapendo già che l’ufficio acquisti avrebbe bocciato l’acquisto di almeno metà di essi. Alla pausa caffè teneva banco l’epidemia che si stava sviluppando ad oriente. Le diverse teorie su come era nata non trovavano l’accordo tra gli aspiranti sapienti. Sempre più interessanti congetture lo stavano inondando così Truman prese dal distributore una merendina di cui andava ghiotto e distrattamente prese ad annuire verso tutti i compagni per non scontentare nessuno. Una chiamata lo salvò da dover ascoltare ancora e ancora: la 15 si era arenata, di nuovo. Un altro lavoretto buono per arrivare subito al momento del pranzo.

Nella mensa semivuota mangiò distrattamente un piatto di pasta buttando un occhio al televisore su cui andava il notiziario delle 13:00. Si aspettava di sentire approfondimenti su una situazione non proprio piacevole che sembrava prendere piede e invece l’attenzione era tutta per la finale di Coppa che si sarebbe tenuta la sera stessa. Gli sfottò tra tifosi erano già cominciati e quella sera sarebbero sicuramente continuati sui vari social oscurando tutto il resto. L’appuntamento era imperdibile!

Il pomeriggio passò abbastanza agevolmente fatta eccezione per un ripristino generale dovuto ad un calo di energia nel sistema principale e alla raccolta di confidenze riguardanti le lamentele di alcuni colleghi nei confronti di altri che, guarda caso, avevano espresso argomenti simili contro i primi. Ma finalmente, come sempre e nonostante tutto, il turno era finito. Uscì rapidamente dallo stabilimento mentre il sole aveva da poco abbandonato il suo regno. Alla fermata dell’autobus si unì all’orda questa volta in salita e mentre le porte si chiudevano dietro di lui tornò ad ancorarsi alla sbarra di sostegno per non essere strattonato troppo. L’autobus si mise in moto mentre i visi dei suoi compagni di viaggio venivano illuminati dagli schermi dei loro smartphone. Sguardi bassi e vuoti mentre Truman abbozzava il solito sorriso, soddisfatto ancora una volta della propria giornata lavorativa. Non mancava molto all’inizio della partita.

Una volta a casa mangiò velocemente una mela e poi si sedette sulla fida poltrona posizionata davanti al televisore in sala. Sprofondò nella sua comodità scavandosi per bene la posizione e prese il telecomando. Premette una serie di tasti. Allora il viso di Truman si aprì proprio come fa la visiera di un casco per moto lasciando visibile l’interno della testa: una sofisticatissima e vera e propria cabina di pilotaggio.

All’interno il piccolo Truman si stiracchiò ed azionò la scala idraulica che dal mento del robot prese a scendere fino al bracciolo della poltrona. Slacciò le cinture, si alzò dal sofisticato seggiolino e la discese trotterellando. Una volta a terra azionò uno dei suoi bracciali luccicanti. Allora accanto a lui apparve una poltrona in miniatura con accanto un piccolo lume e un puff per poggiare i piedi.  Il piccolo Truman si accomodò, accese il lume e materializzò nelle sue mani un libro di dimensioni imponenti. Soddisfatto aprì il volume e cominciò a leggere prendendosi il tempo necessario per assaporare ogni singola parole di ogni singola pagina. 

Paolo Rocchigiani

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Una risposta a “TRUMAN”

  1. Descrizione dettagliata e minuziosa di ogni singolo ambiente, sembrava ci fossi anch’io con Truman, inaspettato il finale…!Un racconto breve ma cmq avvincente!

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