IL SACCOTTINO

Tempo di lettura: 2 minuti

IL SACCOTTINO

un racconto di Paolo Rocchigiani


 

Non c’era la solita calca al bar così riuscii a scegliere con calma. Ero arrivato in un orario in cui erano ancora ampie le golose possibilità  adagiate sul vassoio e nascoste dal coperchio di vetro: nessuno mi avrebbe impedito di portarmi via il mio saccottino al cioccolato.

Con la gioia negli occhi me lo feci incartare, presi un paio di tovagliolini e pagai senza necessità di avere il resto. No, lo scontrino era un optional, ma ero veramente di buon umore quindi, anche se al pensiero storsi un po’ il naso, alla fine ci passai sopra con la velocità del fulmine. Sole, temperatura fresca e colazione appagante: tutto andava per il meglio. Mi concessi il tragitto più lungo per tornare a casa proprio per assaporare a pieno quella bella giornata: mi piaceva andare in giro di mattina presto, avevo la sensazione di avere più tempo del normale a disposizione e tutto aveva la rassicurante aria di normalità avvolta in una patina che sapeva di “nuovo”, non usato. In prossimità del cancello del giardino ebbi la solita esitazione su quale chiave scegliere tra le due praticamente uguali. Focalizzandomi su quale non scegliere, automaticamente trovai quella giusta; un movimento rapido e fui dentro.

Un’occhiata automatica alla cassetta delle lettere come scusa per prendere le altre chiavi e poi entrai chiudendomi alle spalle il portoncino. Fischiettando un motivo familiare scesi le scale di ferro che portavano allo scantinato; l’odore del fagottino cercò di corrompermi mentre invadeva il piccolo locale. Canticchiando per avere maggiori speranze di distrarmi, azionai il portachiavi che avevo ancora in mano. Dal solito punto sul pavimento si manifestò l’apertura circolare allargandosi senza sforzo.  Nel passaggio leggermente obliquo che si creò si formarono le solite scale e allora cominciai a ridiscendere. Man mano che scendevo, il tunnel alle mie spalle si chiudeva  non lasciando alcuna traccia visibile dell’avvenuta apertura. Dal basso intanto una fredda luce illuminava di riflesso i miei passi. Arrivai velocemente alla fine della discesa, al laboratorio e, mentre le apparecchiature si accendevano avendo percepito la mia presenza, mi accomodai sulla poltrona ergonomica per gustarmi finalmente il mio tanto agognato saccottino. Buonissimo.

Sullo schermo centrale cominciarono ad aprirsi diverse finestre mentre sui due laterali prendevano forma le solite mappe. Avevo ancora il gusto del cioccolato quando dei segnali cominciarono a lampeggiare su una finestra radar appena aperta. Mentre mi alzavo per verificare i messaggi del Comando, squillò il cellulare. Era Gus che mi diceva che tutto il gruppo si sarebbe visto quella sera al Poco per una cover band degli AC/DC . Senza esitazione confermai la mia presenza mentre contemporaneamente leggevo i messaggi che stavano invadevano tutti gli schermi. Uhmm, forse avrei fatto tardi all’appuntamento.

Raccolsi le idee per un istante e quindi iniziai la sequenza di apertura del gate. Mentre l’energia veniva accumulata e il passaggio dimensionale cominciava ad attivarsi, scelsi dall’armadio della “sicurezza” un fucile al plasma e presi il mio fidato zainetto tattico. Col fucile in spalla, illuminato dalla crescente energia proveniente dal varco, attesi che il gate fosse totalmente operativo. Lossy mi avvertì che tutto era pronto per le coordinate appena codificate. Controllai l’ora e, pensando che forse ci sarebbe stata bene anche una bomba alla crema, varcai il passaggio freddamente splendente come una stella in miniatura.

 

Paolo Rocchigiani

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