LA LUNA ROSSA -5°parte-

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LA LUNA ROSSA -5°parte-

un racconto di Paolo Rocchigiani


-Vi dico che l’appuntamento era dentro!- ripeteva Arsenio agitato come al solito.

-E allora? Li vedi forse? Non voglio morire di vecchiaia e di noia qua dentro io!

Karun, barcollando, si alzò stancamente ed uscì dalla locanda. Appena fuori, quasi accecato dalla luce del sole, fu investito da una grossa ombra che incombendo su di lui lo avvolse. Senza pensare, con un unico gesto, più goffamente di quanto gli riuscisse di solito, si buttò in avanti sguainando l’arma con una capriola per rialzarsi istantaneamente con gli occhi alzati rivolti alla locanda. Don e Arsenio si guardarono e subito, impugnando le loro armi, fecero per uscire. Phanelion e Lune furono molto meno reattivi nell’alzarsi dalle loro panche. Karun scosse il capo smorzando la tensione mentre riponeva Sindana nel prezioso fodero. Nella sua mente il grido di dolore dell’arma riecheggiò con tono triste, ma ancora controllabile, a differenza di come purtroppo era già capitato.

-Che ci fai lassù scemunito?- odiava impolverarsi per nulla.

Sul tetto della locanda stava accovacciato un grosso Gorgomeck con le ali spalancate che impugnava con una mano un’arma mastodontica a con l’altra puntava un punto immaginario dinanzi a sé.

-Prego Iamatar, figlio di Stud, signore della guerra e patrono del mio clan- rispose il Gorgomeck con voce solenne e profonda.

-Ma porca….- Arsenio e Don erano giunti fuori allarmati aspettandosi chissà quale evento.

-Va bene ma ora scendi, non voglio problemi. È un miracolo che non abbiano chiamato le guardie. Vuoi finire bruciato?

-Bruciato? E che provino a farlo e troveranno solo la morte mentre io gioirò a lasciarmi prendere dalla foga della battaglia!

-Non ti scaldare! Scendi adesso, ti aspettavamo.

L’oste badava al fuoco del grosso camino posto al centro del salone principale della generalmente tranquilla locanda, tenendo d’occhio a debita distanza quel gruppo di avventurieri così rumorosi e sfaccendati. Così a nord non era raro vederne di così riccamente assortiti, ma un Gorgomeck in carne ed ossa era occasione tutt’altro che comune. Proprio l’enorme essere, che sembrava essere scolpito nella pietra, teneva banco raccontando del suo ultimo combattimento mortale con un enorme orso delle caverne. Preso dalla furia narrativa, quasi troncò la testa del povero goblin mimando il fendente mortale. Arsenio bestemmiò la divinità dei ladri, imprecando contro le lame che sembravano bramare la sua testa in quella giornata, Phanelion disquisiva sulla razza dell’orso motivando che forse era più verosimile aver incontrato un grosso orso nero, Lune si rammaricava perché avrebbe voluto quelle rare zanne e Don e Karun ridevano tenendosi ben lontani dal raggio d’azione del poderoso braccio del gigante di pietra. Dal piano di sopra si udì arrivare soave un’allegra musica.

-Presto le orecchie, tappatevi le orecchie- gridò Pahanelion ai compagni.

Subito tutti seguirono quanto da lui detto, tutti tranne Ursolsan, il Gorgomeck, lui non ne aveva bisogno. Si voltarono verso le scale, mentre uno dei pochi avventori in tranquilla disparte cadde riverso sul proprio tavolo. Dalle scale apparve un elfo dal passo leggero come quello di un fanciullo, con una camicia bianca dai larghi polsi e un giustocuore dai mille arabeschi; suonava un flauto traverso accompagnando il ritmo della sua melodia con impercettibili movimenti del capo che spostavano i lunghi capelli neri da una parte all’altra. Arrivato a metà della scalinata, si fermò e, dopo un pomposo inchino, saltò le rimanenti scale con incredibile agilità. Dirigendosi verso i suoi amici, si fermò vicino al tavolo dell’avventore riverso sul tavolo.

-No, a lui non dev’essere piaciuto il mio ultimo componimento. Lo dicevo che non era da scrivere in si bemolle!- disse alla farfalla che lo seguiva. Facendo spallucce si unì agli altri.

-Non mi dire che lo hai fatto secco?- Arsenio tentava di nascondere il primo pensiero di svuotare le tasche del poveretto.

-E se anche fosse, ah ah non sono che una nera pecorella al servizio degli altissimi scopi del mio padrone, beh forse questo non era poi così alto ah ah ah.- Salì sul tavolo e schiarendosi la voce, pomposamente si rivolse agli altri- ebbene sì, il mio padrone, che come sapete, presto ci distruggerà tutti!

-Speriamo di no, mio caro Sharnost. E poi perché scomodare il tuo demone per così poco?- gli fece eco una voce dietro di lui.

L’elfo si voltò non riuscendo a nascondere un sinistro sorriso.

-Oh maestro, è un piacere rivederti. Naturalmente non avevo avvertito la tua presenza- e si inginocchiò con simil rispetto dinanzi al mago che era appena entrato.

-Naturalmente amico mio. Se siete pronti direi di partire subito.

-Manca ancora il Volpumano- obiettò Don.

-Arrivando ho visto una costruzione bruciare- sillabò Ursolsan.

-Non penserete che…- Lune si alzò cercando gli sguardi degli altri interpretandone il pensiero.

La porta della locanda si spalancò ed entrò il Volpumano eccitato e tutto sporco di fuliggine.

-Ragazzi, è stato fantastico!

 

6° parte

 

Paolo Rocchigiani

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