PASSEGGIANDO

Tempo di lettura: 3 minuti

PASSEGGIANDO

un racconto di Paolo Rocchigiani

 

Pare che l’assassino insensato fosse riuscito a fuggire. Certo che il giornalista che gli aveva affibbiato quel soprannome doveva essere proprio a corto di idee quando gli capitò di descriverlo nel primo articolo; anche se, effettivamente, uno squilibrato che accoltella perfetti sconosciuti in strada dopo averli seguiti, insensato deve esserlo davvero. Dopo l’ennesima brutta notizia, avendo fatto il pieno di ansia, spensi la tele. Un passaggio veloce davanti lo specchio di fronte l’entrata e uscii dall’appartamento. Avevo voglia di fare due passi, così, giusto  per combattere la sedentarietà.

Fischiettando la melodia di un probabile futuro successo, scesi le scale saltellando fino al portone condominiale. Una volta fuori, decisi di passare dalla parte alta del paese per poi ridiscendere e terminare così il giro. Di solito a quell’ora non si incontrava anima viva, così potevo veramente rilassarmi e mettere in movimento le mie articolazioni.

A passo lento superai la vecchia casa cantoniera. Che bella temperatura che c’era! Feci per prendere un bel respiro e rinfrescarmi con quell’aria leggera e pulita. Chiusi gli occhi per assaporare il benessere e riaprendoli mi sembrò di vedere un’ombra nascondersi e scomparire dietro l’albero all’inizio delle grandi case. Una volpe? Un cinghiale? Non era raro incontrarne, ma non a quell’ora. Continuai a camminare aguzzando la vista e cercando di mettere a fuoco il tronco dell’albero passandogli vicino. Niente di niente.

Ma certo, cosa mi aspettavo di vedere? Intanto ero arrivato nei pressi della piscina; volevo vedere se fosse finita, così attraversai la strada e passai nel brecciolino per affacciarmi oltre la recensione e vedere lo stato dei lavori. Il rumore dei miei passi su migliaia di sassolini accompagnava cadenzato la mia curiosità. Mi fermai allungando il collo per vedere. I sassolini fecero ancora rumore. Mi voltai di scatto sicuro che ci fosse qualcuno dietro di me. Non vidi nulla, ma trattenni il fiato rimanendo all’erta. L’abbaiare territoriale lontano di un cane mi scosse.

Ero vicino al giardinetto con il mini parco giochi, così decisi di sedermi un po’ su una delle panchine con vista monti. Dapprima mi sedetti cercando di occupare meno spazio possibile. Ero chiaramente a disagio. Fortunatamente la sensazione durò poco e lentamente tornai a sentirmi padrone di me stesso, tanto che mi lasciai andare sulla panchina godendomi la sua relativa comodità. Da lì avevo davvero una bella visuale. Dal parco giochi con la sua altalena blu fino all’inizio del sentiero passando per la fontana e arrivando fino l’inizio della valle. Tornai indietro con lo sguardo ripassando sugli stessi punti di osservazione. L’altalena blu si muoveva da sola.

Balzai in piedi di scatto. Cercai disperatamente di vedere qualcuno, chiunque. Ero da solo. L’altalena rallentava il suo movimento, non mi sarei avvicinato per niente al mondo e per contrapposizione mi allontanai cercando di conservare un po’ di razionalità celando il terrore che velocemente avvolgeva il mio essere. Superai il vecchio ristorante guardandomi indietro.

Un’ombra fece capolino da dietro il muro in pietra dove una volta c’era l’entrata alla sala. Era una forma umana, non potevo avere dubbi. Cominciai a correre. Ero sicuro che mi stesse inseguendo. Nei pressi della scuola continuavo a voltarmi e rivoltarmi. Guardando avanti per non cadere la vidi di fronte a me. La scartai non accettando di vederla e corsi ancora più forte.

Volevo chiedere aiuto, ma la lavanderia era chiusa come pure la macelleria. Speravo nel supermercato ma anche il suo maledetto cancello era chiuso, ma ormai ero vicino a casa. Ero quasi salvo.

La vidi ancora sbucare fuori sulla sinistra, senza alcun preavviso, saettante, ero sicuro mi avrebbe preso, ma sterzai compiendo la manovra solo grazie all’adrenalina e in attimo mi ritrovai schiacciato contro il portone di casa. Voltandomi e sbuffando ripetutamente nel panico azzeccai la chiave e con gioia immensi aprii.

Salii le scale delle rampe a tre a tre finché non giunsi a casa. Chiusi a chiave e mi appoggia di schiena alla porta come per renderla più resistente, ultimo baluardo della mia fortezza. Nello specchio di fronte vidi la porta riflessa e l’ombra fissarmi.

Paolo Rocchigiani

 

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