TOT HABET SACRAMENTA QUOT VERBA

Tempo di lettura: 4 minuti

TOT HABET SACRAMENTA QUOT VERBA

un racconto di Paolo Rocchigiani

 

Jo doveva affrettarsi, mancava poco al “coprifuoco” e non aveva alcuna voglia di incontrare qualche “segugio” per strada. Lui lo chiamava ancora così: “coprifuoco”, anche se ormai l’autorità, per scrollargli di dosso quel non so che dal retrogusto da conflitto militare che si portava appresso, lo aveva ribattezzato come “Limite temporale della zona sicura”.

Si era sempre chiesto perché tanto scomodo nella modifica dei termini a costante favore della sicurezza, ma dopotutto ciò che chiamiamo rosa anche con un altro nome conserva sempre il suo profumo. Entrò di corsa nel piccolo alimentari automatizzato del blocco abitativo 23, prese lo stretto indispensabile e pagò con la Carta dei Crediti del Cittadino. Era in leggero ritardo, ma ce l’avrebbe fatta, le strade erano deserte e non avrebbe avuto problemi. Quella sera aveva voglia di sgranchirsi le gambe e quindi aveva deciso di uscire anziché ordinare online i rifornimenti settimanali. La nuova ondata del contagio aveva riacceso la vecchia paura, faceva freddo e nessun addobbo festivo era visibile come quando era piccolo.  Le feste erano state cancellate e per lo più dimenticate: in poche parole si ritenne che non era giusto offendere le credenze degli altri e quindi si decise di distruggere le proprie. Da come si stava mettendo sicuramente a breve l’autorità globale avrebbe proibito qualsiasi spostamento. Tutto già visto.

Le luci dei lampioni cambiarono colore diventando rosse e intermittenti. Una volta diventate fisse sarebbe scattato il limite temporale della zona sicura non permettendo a nessuno di girare per strada; le pene per i trasgressori erano estremamente severe. Giusto in tempo, Jo aprì la porta del proprio appartamento col riconoscimento vocale. Appena entrato la suadente e soporifera voce degli annunci domotici lo accolse: “24 dicembre, ore 18:00 da ora è in vigore il divieto di uscire nei blocchi abitativi 23, 35 e 78. Rimani al sicuro, fallo per la tua comunità, grazie per il tuo responsabile contributo fondamentale”.

Sistemò la spesa, si prese un succo dal frigo e si accomodò in soggiorno rendendosi conto che il succo che aveva in mano era quello più pubblicizzato. La parete visiva si attivò automaticamente sintonizzandosi sul canale delle ultime informazioni, ma Jo non ne poteva più, sempre le stesse stronzate senza un minimo di contraddittorio, tutto già visto e sentito, trito e ritrito. Spense l’apparecchio e si affacciò dalla finestra.

Sembrava quasi di essere tornati indietro nel tempo quando c’erano le luminarie ad abbellire strade e palazzi, ma ora le luci rosse lampeggianti non significavano più festa e gioia, ma solo controllo e ordine imposto. Sembrava una vita fa quando le parole avevano un significato e c’era ancora qualcosa di buono. Ora lo stato provvedeva a tutto, senza possibilità di scelta, senza nessuna possibilità di scelta in un orrore ideologico di finta rassicurazione. La maggior parte delle persone non sapeva nemmeno cosa fosse il Natale e non solo… ma non era nell’indole di Jo farsi schiacciare dalle situazioni. Dopotutto era un tipo tosto, un essere umano tradizionale senza le variazione genetiche scelte da un catalogo sempre più fornito, uno che non si era mai arreso al Padrone del Mondo. Mandò giù il succo e cominciò a prepararsi, alla fine non mancava molto. Per lui le parole avevano ancora un significato, anzi tot habet sacramenta quot verba – ogni parola comunica un mistero.

Mangiò di gusto e poi si mise all’opera. Per prima cosa entrò nell’armadio a muro dove era nascosto il pannello di controllo della casa.  Attivò il mainframe a schermo olografico. Dal tacco della scarpa tirò fuori una vecchia chiavetta USB e la inserì contando fino a sette, poi la ritrasse e attese la magia. Il software che aveva scritto accecò i sistemi di sorveglianza dell’intero isolato. Questa era stata una fortunata coincidenza, il suo obiettivo era raggiungere un raggio d’azione molto più circoscritto, meglio così. Ora la parte che odiava di più: doveva preparare il bibitone che avrebbe messo a nanna il chip di controllo a matrice desossiribonucleica che aveva nel suo organismo.

Col tempo era diventato abilissimo nel prepararlo, ma il sapore era rimasto sempre lo stesso: terrificante. Misurò con precisione ogni ingrediente, un’ultima mescolata all’intruglio e dopo un profondo sospiro lo buttò giù tutto d’un fiato. Orribile.  Prese lo zainetto e uscì tirandosi delicatamente la porta alle spalle. Scese nel garage mantenendosi guardingo anche se era sicuro che non avrebbe incontrato nessuno zombie là fuori, il vero pericolo era nelle strade: i segugi erano implacabili. In quel deserto avrebbe potuto gridare e nessuno si sarebbe neanche affacciato per vedere. Entrò velocemente nel suo box al piano terra. Col fido e vecchio cacciavite fece scattare il meccanismo che sbloccava il pannello di accesso alla piccola botola nascosta. Si sistemò la torcia sulla fronte e si calò nell’oscurità dello stretto cunicolo. Richiuse la botola sopra di sé e ridiscese la prima rampa di rudimentali scale. Dopo una decina di metri arrivò ad una specie di pianerottolo da cui partiva verso il basso una nuova serie di scale ancor più grezze delle prime. Il rumore dei suoi passi si perdeva nel nulla e solo il suo respiro lo ancorava al tempo presente.

Dopo circa un quarto d’ora di discesa la scalinata si interruppe in un cunicolo che sembrava piatto. Le pareti erano levigate sommariamente e il silenzio regnava incontrastato. Jo non poteva stare in piedi tanto era angusto lo spazio a disposizione e proseguì in ginocchio fermandosi di tanto in tanto in prossimità di contorte deviazioni per consultare una vecchissima mappa. Il passaggio sembrava allargarsi dove un pezzo di muro era particolarmente liscio. Si avvicinò riconoscendo l’entrata dell’ultimo cunicolo. Illuminò il muro dove tanto tempo fa aveva lasciato un’incisione: “In principio era la Parola, e la Parola era presso Dio e la Parola era Dio. La Parola era il Verbo”.

Accarezzò i segni nella roccia e proseguì fino ad uno slargo dove si sedette per riposare. A quel punto attivò una specie di trasponder e dallo zainetto tirò fuori dei sacri ornamenti per la preparazione di un piccolo altare. La mezzanotte non era lontana e Jo e i pochi rimasti non avrebbero rinunciato alla Santa Messa si Natale. Le atee autorità li avrebbero fatti scomparire nel nulla cancellando ogni loro traccia se li avessero mai scoperti, ma nonostante tutto essi avrebbero mantenuto viva la fede ripartendo dalle catacombe come al principio.  Almeno, sorrise Jo, grazie alla repressione religiosa non aveva più dovuto vedere quegli osceni presepi del periodo di transizione farciti con gli “artistici” riferimenti ai moderni idoli pagani. Sul trasponder si attivarono altri sei segnali lampeggianti in avvicinamento. Fortunatamente anche quest’anno il Don e gli altri ce l’avevano fatta. Jo controllò l’orologio, mancavano 14 minuti a mezzanotte, al suo ritorno il Signore avrebbe trovato ancora la fede sulla Terra, magari avrebbe fatto meglio a sbrigarsi, ma ora era tempo di festeggiare la sua mortale venuta nell’arido mondo dell’esaltazione dell’opposto plausibile.

Paolo Rocchigiani

 

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