I MENDICANTI -2-

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I MENDICANTI -2-

un racconto di Paolo Rocchigiani

 

Pitocco se ne stava seduto a terra con la schiena attaccata al muro fatiscente di un vecchio magazzino nei pressi dell’Orchidea, la piccola osteria in contrada Salli. Osservava la gente che passava e stancamente tendeva la mano sperando in qualche offerta per raddrizzare la giornata. Gli sarebbe bastato anche un cicchetto.

Sbuffando, tra l’indifferenza di popolani indaffarati e affaristi di vario genere, raccolse la miseria che aveva racimolato e la nascose nel grosso cappello che indossava sempre. Ahimè, le persone avevano perso il senso della carità, della generosità e della condivisione. Rompendo ogni indugio si mise in piedi sulle gambe anchilosate stiracchiandosi stancamente.

Era tutto il giorno che vedeva aggirarsi pattuglie della Guardia Repubblicana, molte più del solito, per cui erano da escludere anche certi lavoretti sicuramente più redditizi di una statica e monotona seduta di elemosina. Stava solo perdendo tempo e non avrebbe cavato un ragno da un buco, così, un po’ stizzito, decise di tonarsene a casa. Col suo incedere barcollante reso ancora più incerto dai sintomi di qualche strana astinenza, si scontrò con un grassone dal naso molto pronunciato. “Guarda dove vai pezzente!” Sbiascicando scuse sincere si allontanò. Lo avrebbe giurato per sette volte sette che era stata colpa di quel tizio, gli era venuto addosso lui e per di più il povero Pitocco non aveva assolutamente intenzioni fraudolente, ma certi automatismi non si possono controllare e allora sorrise stringendo il piccolo sacchetto che gli era scivolato tra le dita. Soddisfatto, dopo aver contribuito ad alleggerire quell’anima in sovrappeso di meschina vanità e arida cupidigia, accelerò il passo.

Sulla strada del ritorno nella sicura comune vide simpatizzanti dei diversi Colori cittadini raggrupparsi e discutere animatamente. Sinceramente  la politica non lo aveva mai interessato più di tanto e la storia che girava sulla Dama Bianca non gli avrebbe portato in tasca niente di buono da mettere sotto i denti, anzi…

Nella Repubblica le idee avevano un colore, ogni colore formava un “partito” che contribuiva all’amministrazione della città e nel quale si condividevano idee, visioni e sentimenti. Ai “bianchi” questa volta era toccato condividere il dolore. Teneva banco infatti la notizia della morte, avvenuta in circostanze misteriose, di donna Rigarda detta la Dama Bianca. Era un personaggio molto in vista in città e dalla sua dimora nel quartiere nobile dei Plessi indirizzava molte delle scelte della vita repubblicana. Con la chiara idea di ergersi in alto, alla faccia della democrazia, era molto in voga tra i notabili della città la costruzione di torri e quella della dama era sicuramente una delle meglio riuscite e certamente più caratteristiche.

Al suo interno vigeva  un acceso fermento: bisognava preparare per l’arrivo del magistrato per le indagini, preparare per il servizio funebre, preparare l’inventario per gli eredi, contattare il notaio, rassettare la grande stanza delle riunioni per la lettura del testamento e un’altra infinità di piccole, piccolissime, giornaliere, straordinarie ed enormi incombenze. Bettina era oberata dalle cose da fare nel turbinio innescato dalla morte della povera padrona. Sembrava essere in almeno quattro luoghi contemporaneamente mentre impartiva ordini alle impreparate subalterne. 

Per far posto ai fastosi addobbi per la salma, raccolse lenzuola e altri panni della dama da mettere da parte. C’era roba di valore anche sapendo che era stata indossata da una morta! Avrebbe dovuto lavare, stirare e riporre quella montagna di roba, ma non sapeva come sarebbero andate le ripartizioni dell’eredità, magari nessuno l’avrebbe reclamata; il tempo stringeva e priorità di crescente importanza rischiavano di rimanere inevase, così decise di approfittarne per togliersi un bel po’ di lavoro. Senza chiedere aiuto e senza informare l’attendente della torre fece un grosso fagotto decisa a liberarsene.

Paolo Rocchigiani

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